Prima pioggia e assaggio di nervosismo
Come al solito siamo partiti tardi ma oggi il tempo non è dalla nostra e già dal mattino il cielo si carica di umide minacce. Noi siamo tutti un po’ nervosi, taciturni, abbiamo dormito male per via del topo e, quando si cammina tanto, recuperare è fondamentale
Peccato, perché attraversare la piazza di Monteriggioni è un sogno per qualunque Cavaliere ma oggi il cielo è grigio come il nostro umore e il fascino del borgo è meno ardente.
In piazza, mentre riprendiamo fiato, e decidiamo sul da farsi, si avvicina un signore straniero, bassottello, rosso in volto e con barba e capelli biondi, da antico Longobardo. Ci parla in un buon italiano fluente, si congratula con noi, ci ammira e un po’ ci invidia, afferma la moglie, e dopo un po’ gli occhi gli si fanno lucidi, si commuove e ci coinvolge nelle sue sensazioni. Così ci emozioniamo anche noi per questa condivisione spontanea e sincera.
È un piccolo raggio di sole sulla carovana della Lungavia schiacciata fra queste mura antiche oggi così inospitali, sotto il cielo plumbeo, gravido di pioggia.
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Scendiamo il colle di cui le mura sono corona, le nuvole rompono gli indugi e un’acquerugiola fine e fastidiosa ci gela la pelle sotto alle giacche e continuerà per le prossime tre ore e più.
La copertura anti pioggia amorevolmente cucita per la bisogna con la vecchia Singer, protegge a dovere le nostre attrezzature e il basto.
Casa del fantino Francesco Ticci, detto Tredici
È una breve tappa boscosa e tutta saliscendi, e presto arriviamo in una piccola valle angusta dove tanti cavalli giostrano intorno ad una casa colonica.
C’è un uomo sotto l’albero fuori casa, ha una bimba per mano e sul muretto di pietra gioca un altro figlio biondo, con grandi occhi blu. Un’immagine inusuale, d’altri tempi.
Mi fermo a chiedere ospitalità per la notte. Il ragazzo chiama il padrone di casa che da una finestrella dall’alto osserva la strana comitiva e dà il suo assenso.
Siamo capitati nella casa del fantino del Palio di Siena Francesco Ticci, detto Tredici. Abita questa parte di bosco che disegna una valle angusta. Intorno casa recinti elettrici e cavalli, nel cortile tre o quattro cani. Il posto è tanto bello quanto surreale, in più noi arriviamo all’imbrunire di un giorno di pioggia, avvolti da una densa nebbia bagnaticcia.
Decido di mettere la tenda nel paddock dei nostri cavalli, ma la scelta è stata quanto meno improvvida, in primis perché staziona su un subdolo strato di cacca e pipì di generazioni d’equidi, e poi perché i nostri compagni curiosi, per tutta la notte attentano alla tenda con gli zoccoli.
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Sulla strada bianca poco distante, Marlene chiacchiera con una donna del posto. Cristina è alta e magra con i capelli neri striati d’argento. Vive nella casa di sopra, ha due bei cani pastori maremmani e uno stuolo di gatti al seguito. Entrambe le donne hanno voci tranquille e serene dalle quali mi lascio cullare.
Paddock, acqua, fieno, biada per gli animali e Cristina che condivide con noi il suo pane fatto in casa e i biscotti al cioccolato caldi di forno. Grazie Cristina! Ecco, questi sono i gesti semplici che amo, che mi rasserenano, che mi rappacificano con l’uomo.
Gli incontri, quando sei un viandante, sono una parte fondamentale dell’andare, restano nel cuore, scandiscono i percorsi.
Chiudo gli occhi e ripercorro il giorno, il cammino, le difficoltà, le attese, dimentico anche dell’odore molto discutibile nella tenda.
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