Difficile dire cosa stia succedendo anche al clima del nostro piccolo pianeta. Fatto sta che quando siamo partiti, per soli due giorni abbiamo evitato il tornado che ha devastato la Valdinievole e soprattutto Stabbia. I segni della sua furia ci sono stati ben chiari attraversando il bosco di Chiusi e al Lago dei Salici, dell’amico Piero.
Poi, per le tre settimane successive, mentre noi scendevamo questa splendida regione al ritmo degli zoccoli dei nostri cavalli , abbiamo avuto sempre sole, fin troppo caldo e la meravigliosa luce di un autunno ancora acerbo. Il mostro meteorologico ha rivolto altrove le sue mire fameliche e, a Genova, ha digerito la città in una notte, con i suoi succhi melmosi.
Anche la nostra di fortuna stava per cambiare ma noi ancora non lo sapevamo.
È una bella giornata quella che si rivelerà essere l’ultima tappa di questo nostro meraviglioso viaggio. Giusto il tempo di constatare che i cavalli questa notte si sono trasformati in roditori bucherellando una decina di rotoballe d’erba medica. Ci assoggettiamo al conseguente conto salato, e ci mettiamo in marcia su per la collina. Fa caldo e la salita lungo la siepe che divide due campi, si fa subito sentire visto che, come d’abitudine, i primi cinque, sei chilometri sono percorsi rigorosamente a piedi. Ormai conosco bene gli intrecci di queste colline e anche se la cartografia di questa parte della Toscana, di cui dispongo, è pessima, con un paio di “fuori pista” azzeccati e lunghe strade poderali asfaltate ma deserte, ci troviamo ad attraversare la valle dei fiumi fratelli, il Trasubbie e il Trasubbino.
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Come fosse casa comune i due fratelli liquidi hanno scolpito una valle larga e netta con un’atmosfera unica, adorna di ulivi in piccoli lembi di terra bonificata, strappati alle pietraie. Una ruga di cemento attraversa la valle a come strada. È agibile solo con l’acqua bassa, ma quando la tempesta inebria i due gemelli, essi l’inondano con potenza inaudita e strappano la crosta di cemento dal loro letto di ghiaia. L’atmosfera è surreale.
Ci inerpichiamo fino a Polveraia, piccolo borgo che presiede la valle, imbacuccata nella macchia che si fa sempre più mediterranea, il mare ormai è veramente vicino, possiamo respirarlo con il verde della campagna.
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Scambiamo quattro chiacchiere con un vecchio uomo di cavalli che esce di casa sentendoci arrivare dall’unica strada del paese. Indossa pantaloni da equitazione verdi, camicia in tono e mocassini senza calze, mani piedi e viso ben abbronzati. Ci consiglia una strada sterrata (o “imbrecciata” come dicono da queste parti) molto suggestiva, che va nella nostra direzione e che ci fa sbucare sulla provinciale di Scansano, dove percorriamo qualche centinaio di metri prima di fermarci a fare il punto della situazione.
S’è fatta l’ora di cercare rifugio e i chilometri percorsi fanno pari con la tappa di ieri snervante ma corta. C’è il cartello di un agriturismo che invita a prendere una sterrata sulla sinistra. Una “verginina” sotto un grande albero ne segna l’inizio. Stride, nel quadretto dipinto dalla luce pomeridiana, uno sgangherato divano in finta pelle marrone, abbandonato accanto ai cassonetti proprio sotto all’indirizzo e al numero della discarica locale.
Quasi a sancire questo ridicolo teatrino dell’antitesi, mi siedo per telefonare sul sofà sbudellato accanto cassonetti, mentre due passi più in là Marlene, esile e bionda come un’elfa silvana, tre cavalli da viaggio e una canina coraggiosa sembrano usciti da un romanzo d’avventura.
Al telefono mi risponde Vito, è molto gentile e mi consiglia di fermarci da Baticci, un’azienda zootecnica un paio di chilometri più sù. Detto fatto ci incamminiamo e, dopo poco, i recinti per le pecore e le mucche che appaiono lungo la strada, sono la promessa di un’altra notte al sicuro per i nostri cavalli.
Quando finalmente arriviamo all’azienda, anche Vito è salito ad incontrarci mentre i padroni di casa stanno partendo per una “cercatina di funghi”, che scopriremo poi essere, la grande passione del figlio Simone.