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Trekking di 2 Giorni – 22/23 Settembre 2016

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Gente di Cavalli organizza il 22 e 23 Settembre 2016 un indimenticabile trekking a cavallo alla scoperta della riserva naturale del Padule di Fucecchio.

Le iscrizioni sono aperte a tutti i cavalieri avventurosi che vogliano cimentarsi in un meraviglioso periglio fra i chiari misteriosi e gli argini erbosi della zona umida interna più importante d’Italia.

La partenza è prevista dall’Agriturismo Il Bottaccino, la cena ed il pernottamento in tenda al Lago dei Salici.

  • Aperto ai cavalieri di tutti i livelli ma con spirito d’avventura
  • Possibilità di partecipare con il proprio  o con un cavallo del centro
  • Tende e attrezzature da bivacco fornite dall’organizzazione
  • Staff composto da tre guide equestri di caratura internazionale
  • Camper 4×4 come mezzo d’appoggio

Non fatevi scappare l’occasione di condividere un’avventura fuori dal tempo gestita con la professionalità da chi da sempre viaggia e organizza viaggi a cavallo.

Per info e prenotazioni:

Riccardo +39 347 0706239 / gentedicavalli@gmail.com

 

Passeggiata d’autunno

Nel weekend 10~11 ottobre stiamo organizzando un indimenticabile escursione equestre con pernottamento in tenda nelle terre segrete e selvagge del Padule di Fucecchio.

Questo trekking sarà inoltre l’occasione per inaugurare un anello inedito che dal Bottaccino collega il Lago dei Salici passando per il Bosco di Chiusi per poi fare ritorno da Massarella, Crocialoni, Tabaccheria di Prato Grande.

La notte di sabato dormiremo cullati dal respiro del lago imbacuccati nelle nostre tende dopo una lauta cena aperta anche agli accompagnatori dei cavalieri.

Amici, cavalieri, avventurieri di ogni dove vi aspettiamo per vivere a cavallo un’esperienza  indimenticabile!

Per info e prenotazioni chiamate Riccardo al 347 0706239

Belle e il barchino

Funghi fritti e gli elementi del disastro

Come si scrive l’ultimo capitolo di una così bella storia?
Si ammassano talmente tante emozioni che la mente si confonde e le dita si bloccano. Ci siamo lasciati con la comitiva della Lungavia ferma all’allenamento Baticci e posto migliore non si poteva trovare. I cavalli sono comodi in un recinto proprio accanto alla casina di pietra dove siamo alloggiati noi, acqua, erba fresca e un bel rotolone di medica tanto per non farci mancare nulla. I padroni di casa Loriana e Omero ci trattano come se fossimo amici da sempre e ci invitano a cenare con loro; intorno al lungo tavolo di legno ci sono anche “i vecchi” di casa, l’atmosfera è dolce e conviviale. Lori cucina ogni tipo di prelibatezza e la conversazione tratteggia antichi paesaggi contadini fatti di bestiame, duro lavoro e una cultura della terra e degli animali che sta svanendo, così come i suoi ultimi detentori. Ci sembra di prendere parte ad un banchetto antico, il tavolo è ingombro di libagioni e tutto è rigorosamente fatto in casa, tagliatelle al ragù, stufato di cinghiale, di capriolo, cotolette di maiale, formaggio, verdure e funghi, tanti funghi, preparati in tutti i modi. Ci alziamo solo quando riesco finalmente ad avere la meglio sul tegame di capriolo e  un vassoietto di zucca a dadini  preparata all’aceto come non l’avevo mai mangiata.


E intanto penso alle mucche con le quali Nevio tirava il carro, penso alla mungitrice-robot, vanto oggi dell’azienda, penso alla forza tutta femminile di Loriana, all’infaticabile Omero e a quanto sia tenero con suo figlio Simone, e penso alla profondità dolce ed umana di questo incontro, cosa sempre più rara nella nostra vita altra, quella “normale”.

E penso alla nostra piccola carovana intenta ad arrivare al mare e a scappare dal mostro meteorologico che negli ultimi giorni si è fatto sempre più minaccioso, giocando con noi come il gatto con il topo. Per tutta la notte sprazzi vigorosi di tempesta spazzano le colline; protetti nel caldo del nostro letto, sentiamo il mostro menare fendenti d’aria e acqua come colpi all’arma bianca. La mattina però sembra essersi placato, anche se il cielo è scuro, pesantemente livido, non piove e noi prepariamo i cavalli per l’ultima tappa verso il mare sperando di trovare là sorte migliore.

Poi una telefonata blocca il nostro slancio, quando ormai siamo pronti a metterci in cammino. Nevio, che è sceso in paese di buon mattino, ci chiama per dirci di stare assolutamente fermi, a valle la situazione è critica, la protezione civile ha bloccato le strade e nessuno può muoversi.
Guardiamo il cielo sopra di noi farsi di piombo, il mostro ci ha raggiunti, ci ha scovati, questo sarà il giorno dell’alluvione in Maremma che oltre all’acqua, al fango e alla paura, farà anche due vittime.

Non sappiamo cosa fare, solo ieri  abbiamo guadato l’Ombrone e la valle dei fiumi gemelli, non oso pensare cosa sarebbe successo se ci fossimo trovati là nella furia delle acque; ce ne stiamo tutto il giorno schiusi nel nostro rifugio a rimuginare, i cavalli sul poggio offrono la groppa al vento e sgranocchiano fieno per scaldarsi. Si fa strada dentro di noi l’idea che la Lungavia sia giunta al termine e che non avremo questa volta portato i nostri omaggi equestri al mare.


Ci sentiamo un po’ delusi e un po’ sollevati quando il grande van di Sciolino apre l’ampia rampa posteriore. I cavalli non fanno storie e si infilano uno dietro l’altro nella caverna metallica, abbiamo giusto il tempo di salutare tutti e siamo già per strada.
Ci rendiamo conto che già non siamo più cavalieri, esploratori, avventurieri, che la Lungavia volge al termine, che da domani si torna “dentro” che la nostra “ora d’aria” è finita!

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La valle dei fiumi gemelli

Difficile dire cosa stia succedendo anche al clima del nostro piccolo pianeta. Fatto sta che quando siamo partiti, per soli due giorni        abbiamo evitato il tornado che ha devastato la Valdinievole e soprattutto Stabbia. I segni della sua furia ci sono stati ben chiari attraversando il bosco di Chiusi e al Lago dei Salici, dell’amico Piero.
Poi, per le tre settimane successive, mentre noi scendevamo questa splendida regione al ritmo degli zoccoli dei nostri cavalli , abbiamo avuto sempre sole, fin troppo caldo e la meravigliosa luce di un autunno ancora acerbo. Il mostro meteorologico ha rivolto altrove le sue mire fameliche e, a Genova, ha digerito la città in una notte, con i suoi succhi melmosi.
Anche la nostra di fortuna stava per cambiare ma noi ancora non lo sapevamo.

 

È una bella giornata quella che si rivelerà essere l’ultima tappa di questo nostro meraviglioso viaggio. Giusto il tempo di constatare che i cavalli questa notte si sono trasformati in roditori bucherellando una decina di rotoballe d’erba medica. Ci assoggettiamo al conseguente conto salato, e ci mettiamo in marcia su per la collina. Fa caldo e la salita lungo la siepe che divide due campi, si fa subito sentire visto che, come d’abitudine, i primi cinque, sei chilometri sono percorsi rigorosamente a piedi. Ormai conosco bene gli intrecci di queste colline e anche se la cartografia di questa parte della Toscana, di cui dispongo, è pessima, con un paio di “fuori pista” azzeccati e lunghe strade poderali asfaltate ma deserte, ci troviamo ad attraversare la valle dei fiumi fratelli, il Trasubbie e il Trasubbino.


Come fosse casa comune i due fratelli liquidi hanno scolpito una valle larga e netta con un’atmosfera unica, adorna di ulivi  in piccoli lembi di terra bonificata, strappati alle pietraie. Una ruga di cemento attraversa la valle a come strada. È agibile solo con l’acqua bassa, ma quando la tempesta inebria i due gemelli, essi l’inondano con potenza inaudita e strappano la crosta di cemento dal loro letto di ghiaia. L’atmosfera è surreale.

Ci inerpichiamo fino a Polveraia, piccolo borgo che presiede la valle, imbacuccata nella macchia che si fa sempre più mediterranea, il mare ormai è veramente vicino, possiamo respirarlo con il verde della campagna.


Scambiamo quattro chiacchiere con un vecchio uomo di cavalli che esce di casa sentendoci arrivare dall’unica strada del paese. Indossa pantaloni da equitazione verdi, camicia in tono e mocassini senza  calze, mani piedi e viso ben abbronzati. Ci consiglia una strada sterrata (o “imbrecciata” come dicono da queste parti) molto suggestiva, che va nella nostra direzione e che ci fa sbucare sulla provinciale  di Scansano, dove percorriamo qualche centinaio di metri prima di fermarci a fare il punto della situazione.
S’è fatta l’ora di cercare rifugio e i chilometri percorsi fanno pari con la tappa di ieri snervante ma corta. C’è il cartello di un agriturismo che invita a prendere una sterrata sulla sinistra. Una “verginina” sotto un grande albero ne segna l’inizio. Stride, nel quadretto dipinto dalla luce pomeridiana, uno sgangherato divano in finta pelle marrone, abbandonato accanto ai cassonetti proprio sotto all’indirizzo e al numero della discarica locale.
Quasi a sancire questo ridicolo teatrino dell’antitesi, mi siedo per telefonare sul sofà sbudellato accanto cassonetti, mentre due passi più in là Marlene, esile e bionda come un’elfa silvana, tre cavalli da          viaggio e una canina coraggiosa sembrano usciti da un romanzo d’avventura.
Al telefono mi risponde Vito, è molto gentile e mi consiglia di fermarci da Baticci, un’azienda zootecnica un paio di chilometri più sù. Detto fatto ci incamminiamo e, dopo poco, i recinti per le pecore e le mucche che appaiono lungo la strada, sono la promessa di un’altra notte al sicuro per i nostri cavalli.
Quando finalmente arriviamo all’azienda, anche Vito è salito ad incontrarci mentre i padroni di casa stanno partendo per una “cercatina di funghi”, che scopriremo poi essere, la grande passione del figlio Simone.

 

 

 

Monte antico – Campagnatico

Il programma iniziale era quello di scendere al mare per le dolci pendici del monte Amiata,  passando da Roccalbenga, Scansano, Magliano fino al parco dell’Uccellina. Invece mi lascio convincere da Giuliano, fattore del castello e cacciatore, di puntare dritti a        Paganico e accorciare così di due tappe.
Il prezzo da pagare per la velocità però (ormai avrei dovuto saperlo) è stato alto!

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Il nuovo percorso prevede dodici chilometri di asfalto e quindi a piedi, su di una piccola provinciale, a dire il vero poco trafficata.
Un paio di chilometri prima del paese la strada si immette sulla provinciale del Cipressino che unisce Grosseto al monte Amiata.
Qui la situazione cambia radicalmente, il traffico si fa denso,     rumoroso e stressante.  Una serie di camion di varie dimensioni sfrecciano e sbuffano accanto alla nostra piccola e indifesa comitiva. Ogni passo si fa più pesante, la tensione sale, anche perché Amelie, che fino ad oggi non aveva fatto una piega su qualunque strada, ha paura, strattona e scatta ad ogni passaggio di mezzi pesanti. È  nervosa e contagia il resto del gruppo.

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Ormai quasi a Paganico, dopo due chilometri di sudori freddi, ci resta solo da attraversare il ponte sull’Ombrone, oltre il ponte, una grande rotonda ci segnala l’entrata del paese.
Imbocchiamo la trappola d’asfalto sospesa sulle acque. Marlene Morgan e Nina al guinzaglio aprono la via, noi, il grosso dell’artiglieria, li seguiamo da vicino. Fatti pochi metri un imponente camion, rosso come l’inferno, sopraggiunge alle nostre spalle. Sbuffa e sibila, ansima come un mostro antico, le cavalle non ce la fanno più e scattano in avanti in fuga, in cerca di salvezza. Le lunghine tirano, strappano, con tutte le mie forze cerco di trattenerle e non travolgere il gruppetto davanti, ma sembra inutile, le bestie mi trascinano come fossi un fuscello.
Voglio toglierci alla svelta dagli impicci del ponte ma un altro bisonte a ruote ci viene incontro stringendoci nuovamente in una morsa di paura e sudore. Pioggia, con la sua mole affannata, spinge Morgan contro il guardrail,  Nina si trova fra una selva di zoccoli ferrati e noi nel mezzo cerchiamo con tutte le forze di rimanere in piedi.
Quando finalmente passiamo oltre ci fermiamo un attimo sulla grande rotonda erbosa, ancora intrappolati da strade trafficate.
Il sudore mi gocciola dalla fronte sugli occhiali, l’adrenalina mi offusca la vista ma anche questa volta è andata bene.
Prendiamo la strada che entra in Paganico (antica dogana e centro di scambi fra Siena e Grosseto) e ci inerpichiamo per uno stradello che taglia la campagna. Le gambe ci tremano ancora quando rimontiamo  a cavallo. Sulla carta vedo solo sentieri tranquilli fino a                        Campagnatico dove ci fermeremo per la notte.
Ma ancora la giornata ha in serbo per noi spiacevoli sorprese.

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Ci inerpichiamo senza incrociare un’anima fino quasi al paese, il sentiero sbuca un paio di chilometri più sotto, la strada sembra tranquilla, siamo stanchi ma  scegliamo di camminare, Nina al guinzaglio. Fatte due curve un bilico carico di ghiaia incrocia la già provata comitiva, la strada è piccola e il mastodonte la occupa quasi per intero, ci supera e il suo passare scalda e appesta di gasolio l’aria, i     cavalli fremono noi abbiamo i nervi a a fior di pelle. Pochi pesanti passi più sù e un altro bilico  ci viene incontro e poi un altro e un altro ancora, in poco meno di due chilometri ne passamo moltissimi e ogni volta tratteniamo il fiato.
Quando ormai sono in vista i tetti delle case di Campagnatico, l’ennesimo mostro gommato ci coglie alle spalle. Pioggia non resiste più e con un colpo di reni si libera dalla mia presa. La lunghina è una lama di coltello fra le mie dita, stringo più forte ma non riesco a fermarla, presa dal terrore fa tre, quattro passi indietro e si ritrova in mezzo alla carreggiata. Marlene emette un sibilo di angoscia, la scena è drammatica, l’autista del bilico si rende conto all’ultimo che deve rallentare e il suo volto è attonito mentre passa rasente al posteriore della giumenta, senza toccarla.
Solo una curva e siamo in paese, sani salvi e terrorizzati.

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La gente del posto ci dice che più giù c’è una miniera di ghiaia che i camionisti trasportano facendo la spola verso Grosseto. Per tutto il giorno e tutti i giorni un esercito di bilici marcia sulla quiete di queste colline, i paesani  malsopportano e sono molto infastiditi dal via vai che durerà fino al compimento dei lavori della Siena-Grosseto. La strada, ci dicono, è pericolosa da percorrere anche in macchina o con i trattori che qui tutti usano abitualmente.
Ecco che la Lungavia presenta il suo conto di paura e sudore su di una tappa che sulla carta doveva essere semplice e farci risparmiare tempo.
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