Poggiarello – Le Caggiole – il pastore Michele

Con calma, come nostro solito, ci incamminiamo per quella che sarà la più bella tappa del viaggio. Ci siamo lasciati Siena sulla sinistra e ora percorriamo le sue colline in un panorama tanto bello da sembrare finto. Cavalcare fra queste colline teatrali è una gioia e un       privilegio. L’ampio sentiero si srotola fra i campi arati pronti al riposo invernale e ai verdissimi appezzamenti d’erba medica. Il bello è a perdita d’occhio e la lentezza del nostro incedere ci dà tempo di spaziare con gli occhi e i sensi in tutte le direzioni.

.
A Radi ci si arriva solo grazie ad una strada bianca. È una enorme e storica azienda agricola dove anticamente vivevano più di duecento famiglie di mezzadri e dove bestie e genti dividevano la pace e la      fatica della terra. Oggi, purtroppo, sembra un paese fantasma, le coloniche sono decrepite, le stalle, gli annessi agricoli, sono solo il ricordo del fermento e del lavoro di una volta.
Il nostro modo di presentarci è sempre il solito: arriviamo, leghiamo i cavalli, e chiediamo in giro se qualcuno conosce un posto per accogliere la comitiva. Anche a Radi, dopo poco, un piccolo capannello si forma intorno ai nostri racconti e ognuno dice la sua, i bambini stanno con i cavalli, li accarezzano e comunicano con lo stesso linguaggio dei sensi.
Qualcuno ci dice che sulla collina di fronte c’è un pastore che ci accoglierebbe di sicuro. Dobbiamo tornare indietro ma ci sembra una buona soluzione.

Il pastore Michele e la moglie Peppina

Michele è un pastore sardo che da quarant’anni vive sulle colline senesi . Ha 88 anni, due denti e uno spago di pressa di fieno per cintura. Parla solo un dialetto scombinato ma, nonostante l’età, non gli manca certo lo spirito. Il suo repertorio è pieno di battute, fa il verso a tutti, e ogni tanto ulula alla luna come un cane,  per poi sbottare in una grande risata spalancando la bocca bi-dente.

5-IMG_2588

.
Sua moglie Peppina è una di quelle donne ormai rarissime che sanno fare tutto: cucina, tesse al telaio, si occupa degli animali, fa il formaggio e tutte quelle cose che si sono perse e che erano bagaglio della cultura contadina.
La casa è su di un poggio con una vista mozzafiato. Intorno, cani di tutte le razze e dimensioni, liberi, legati, in cortile, o nei campi con le pecore. L’interno sembra un mercato delle pulci o il deposito di un rigattiere. Piena, strapiena di mobili, oggetti, oggettini, bomboniere della prima Comunione, chincaglierie di ogni sorta. Le grandi stanze raccontano storie di tempi migliori quando ancora la giovinezza e le forze riempivano la casa.
Abbiamo cenato con loro, siamo entrati nel loro mondo immobile, con amabili chiacchiere in un italiano sempre precario e da interpretare. Fantastico!

 

L’unica nota stonata è stato  conto che ci ha proprinato la Peppina che… neanche Chez Maxime! Veramente troppo salato, ma le ho perdonato il piccolo imbroglio perché, in un certo modo, mi ha ridato il senso della realtà, tirandomi giù dal mio mondo idilliaco, a volte un po’ troppo sognante.
E poi, come diceva mio nonno Ferrando, “neanche i cani muovono la coda per niente”.  Ay, ay, ay, Peppina, Peppina..!