Bleeding - Barbara Fedeli

Etica dell’allevamento equino e umano

Ogni società presuppone un compromesso, l’individuo sacrifica la sua libertà personale in cambio di benefici non ottenibili in una vita condotta in solitario. Ognuno di noi ha esperienza delle regole restrittive che il vivere comune ci impone per il fine ultimo della sopravvivenza e del benessere collettivo, ognuno di noi ha ben chiaro quanto sia delicato questo equilibrio di dare avere ed ogni individuo sente quanto una collettività etica e  dignitosa possa giovare al singolo nel suo percorso evolutivo che difficilmente sarebbe ottenibile vivendo un’esistenza decontestualizzata.

Quando un qualunque essere (umano o animale) entra in contatto con un essere più evoluto le possibilità sono due o ne trarrà giovamento o verrà sfruttato. E’ ciò che molto naturalmente succede fra il bimbo e la sua mamma, fra fratelli maggiori e minori, fra l’insegnate e l’allievo, fra i maestro e il discepolo, ma anche fra l’uomo e il suo cavallo.

Quando decidemmo di togliere i cavalli dal loro stato naturale per allevarli e sfruttarne la devastante forza e velocità in cambio di protezione cibo e cure, stipulammo con loro lo stesso patto etico che avrebbe dovuto contraddistinguere anche la nostra di società, quella umana. Privandoli di un bene così prezioso come la libertà e chiedendogli lavoro e fatica a nostro beneficio avremmo dovuto almeno pareggiare la bilancia con un tesoro di altrettanto valore.

É andata davvero così?

Come avrebbe mai potuto esserlo se per primi noi umani, esattamente come i nostri cavalli, siamo relegati in stretti box di cemento, con le grate alle finestre, divisi gli uni dagli altri, malnutriti, ridicolmente agghindati alla moda, con dei pezzi di ferro inchiodati ai piedi, costretti sempre al solito percorso box/lavoro, spendendo le nostre vite e le nostre forze in attività alienanti che poco hanno a che fare con il primigenio etico contratto dove un essere più semplice evolve e si migliora grazie ad una società giusta che in cambio di poco restituisce con gli interessi.
E così alleviamo i nostri cavalli come alleviamo i nostri figli, antropomorfizzando i primi e viziando i secondi, senza alcuna riflessione ci affidiamo pigramente a ciò che si dice, alle consuetudini consolidate, ai dettami della pratica comune, acriticamente, superficialmente.
Ecco perché le nostre scuderie sembrano dei lager, i nostri cavalli sono problematici e muoiono malaticci a vent’anni quando ne potrebbero vivere ben sani quaranta.

Box, mangimi e ferratura sono le piaghe dell’allevamento moderno del cavallo e tutto ciò è dimostrato scientificamente ormai da più di trent’anni.

Vi è un altro aspetto, forse ancor più significativo, che ogni uomo che decide di stare con questi nobili animali dovrebbe attentamente considerare.
Oggi si tende a pensare che naturale sia sinonimo di migliore. Questo è vero solo in minima parte.
Un cavallo che pascola sereno, in compagnia dei sui simili, nella sua postura riposata e naturale avrà il peso della sua imponente massa per lo più sugli anteriori; il lungo dorsale disteso, lo splenio proteso in avanti nell’atto del brucare, la forza motrice dei posteriori quasi assente: i cavalli al prato deambulano tirandosi con gli anteriori, non spingendosi con i posteriori.
Un cavallo montato in questa sua postura naturale sarà un cavallo sulle spalle, orizzontale, direzionale e generalmente pesante sulla mano. La sua schiena e la sua incollatura svilupperanno una muscolatura rigida atta a compensare il continuo squilibrio in avanti nonché il peso del cavaliere. Sarà un animale destinato prima o poi a patologie muscolo scheletriche in alcuni casi anche gravi.
Anche il giovane bipede della razza umana nella sua posa decontratta e naturale, magari camminando sulla spiaggia in compagnia dei suoi simili, ciondola squilibrato in avanti, le spalle curve, il bacino retroflesso a volte molto distante dalla grazia della posizione eretta.
Poi al prato e sul bagno asciuga qualcosa succede, passa una giovane femmina dalle forme sinuose e la criniera al vento, entrambi bipedi e quadrupedi si trasformano, il petto si gonfia, le spalle si aprono, il bacino si ingaggia, gli addominali si tirano, l’incollatura si rileva e si incurva, le orecchie si tendono e gli occhi scintillano, i gesti si fanno ora coerenti armonici competitivi, carichi di energia ed equilibrio, un equilibrio che è sempre naturale ma ora è più netto, più significativo, più appariscente, più performante.

E’ in questo tipo di postura che il maestro monta il suo cavallo, è questo equilibrio verticale lo scopo ultimo dell’addestramento ed è nel raggiungimento di questo stato in maniera volontaria, continuativa e cosciente e non aleatoria e contestuale da parte del cavallo che risiede la chiave etica dell’equitazione.

Il maestro evolve dallo stadio di natura allo stadio di sapienza il suo destriero, liberando e portando alla coscienza la sua parte più nobile, pareggiando i conti.
Una equitazione incosciente, superficiale, ignorante, anche in buona fede e peggio ancora se praticata in maniera spocchiosa ed arrogante, diventa IL problema morale urgente con il quale ogni cavaliere dovrebbe seriamente fare i conti.

Riccardo Maria Bruno

(Bleeding – Barbara Fedeli – acrilico su carta – 70×50)