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Aria

Quando lo vidi, nel campo che occupava la vallata sotto alle scuderie, scesi per il sentiero lungo la siepe di rovi e quando gli fui abbastanza vicino un particolare attirò la mia attenzione, mi resi conto che il vecchio uomo di cavalli camminava scalzo. 

Aveva ripiegato l’orlo dei calzoni lasciando scoperte le caviglie e i suoi larghi piedi nudi. 

“Buongiorno Carlos” dissi facendo schioccare la voce senza però ricevere risposta. 

L’uomo camminava lento e armonico nel campo ancora umido dalla pioggia dei giorni precedenti, teneva il busto eretto e le mani conserte dietro la schiena,  io lo seguivo silenzioso.  

Dopo qualche passo ancora finalmente si accorse della mia presenza, si girò e mi guardò dritto negli occhi, il suo volto era raggiante:

“Così si monta a  cavallo!” Esclamò con forte accento castigliano. 

Rimasi per un istante interdetto.

“Come?” risposi con aria ebete “scalzo!?”

Carlos scoppiò in una fragorosa risata: 

“Tu guardi tanto ma non vedi nulla mio giovane amico”

e si rimise a camminare. 

Allora lo seguii cercando di “vedere” ma per quanto mi sforzassi davanti ai miei occhi c’era solo un uomo bizzarro a pieni nudi in un campo motoso.

Avanzammo ancora in fila indiana come due cavalli che cercano un pascolo migliore, a Carlos piaceva parlare in modo enigmatico così spensi il cervello e feci muovere solo le gambe. 

La mattina era splendida, il cielo pareva una tela azzurra e le nuvole sapienti pennellate, la luce rifletteva l’umidità dei campi metallizzandoli, con la mente vuota, ipnotizzato, guardavo le larghe sagome che i piedi nudi di Carlos lasciavano nel morbido fango poi, finalmente, “vidi”. 

Per lunghi tratti le orme del mio maestro erano nette, pesanti, disegnavano chiaramente nella terra morbida le cinque dita, l’appoggio preciso dei talloni, era facile capire dove l’uomo caricasse maggiormente il peso, il fango morbido emetteva un suono di compressione umida ad ogni suo passo.

Poi per altri lunghi tratti l’uomo pareva non lasciar traccia, sotto il mio sguardo incredulo le orme si facevano sottili, sempre più impercettibili, la fanghiglia non si comprimeva più come ci si sarebbe aspettati dal passaggio di un uomo di ottanta chili, l’umidità del suolo smetteva il suo rumoreggiare anche le foglie e i rami secchi sparsi parevano non accorgersi dell’incedere del maestro che camminava sospeso nel campo di fango e rugiada metallo, dietro, il mio allibito incedere restava rozzo e rumoroso… 

“Ho imparato che si può essere pensanti o leggeri a nostro piacimento, che si può ingannare la forza di gravità, ho imparato quanto ciò sia fondamentale montando a cavallo, nel continuo gioco di metamorfosi fra equilibrio e vertigine, fra moto e stasi, fra verticalità e orizzontalità”

Così parlava quel giorno il mio maestro ma ai miei vent’anni quelle parole suonavano confuse, provai a  ripeterle per molto tempo ancora, come una automatica cantilena, con la speranza che mi rendessero leggero e che mi svelassero i segreti dell’equitazione; solo oggi, vent’anni dopo, colgo il potente mistero di quel magico mantra. 

Riccardo M. Bruno

(Aria – Barbara Fedeli – acrilico e gesso su forex – 180×60)

Mi presento agli amici di Santo Domingo..

Buongiorno agli amici cavalieri di Santo Domingo!!

É la prima volta che vi scrivo da quando da una folle idea di Luna si é concretizzata la possibilità di venire a tenere uno stage nella vostra bella terra di mare e di sole.

Cominciò con il dire che sia io che il mio staff siamo entusiasti di questo viaggio e cercheremo in tutti i modi di non tradire le vostre aspettative.

Vorrei presentarmi, mi chiamo Riccardo Maria Bruno ho trenta nove anni  e da sempre i cavalli sono parte della mia vita. Sono nato in Brasilie da genitori italiani e fino all’adolescenza ho vissuto girando per il mondo per seguire il lavoro di mio padre. Questa vita “gitana” mi ha permesso di entrare in contatto con svariate culture equestri, dall’America Latina al Nord America, dall’Africa all’Europa.

Erano i giorni dell’incoscienza quando bastava galoppare a perdifiato nei campi, volare saltando i fossi e i tronchi, prendere i cavalli e perdersi sulla cordillera lavandosi nei fiumi e dormendo sotto le stelle. Erano giorni di cultura maschia e macista dove dominare la potenza primordiale della bestia era un’atto di ottuso eroismo, erano tempi di lunghi speroni, di frustini acuminati di sudore e botte….

Crescendo i cavalli erano sempre lì come se una forza invisibile ci legasse, ovunque la vita mi portasse mi trovavo sempre fra questi mobili animali.

I cavalli in Europa hanno un’odore diverso, stanno chiusi in ordinatissime scuderie e vengono nutriti con mangimi industriali, in Europa quasi tutti i cavalli sono infelici.

A vent’anni montavo qualunque cavallo, mi ero fatto la nomea di poter “sistemare” qualunque bestiaccia e così avevo a che fare con i peggiori elementi della regione.

Sentivo però che “qualcosa mancava “, l’equitazione non poteva essere solo passione, ardimento, sudore e dolore, poi un aneddoto cambiò per sempre il mio modo di vedere questi mirabili animali… ma questa é un’altra storia per un’altro giorno!

Un abbraccio a tutti gli amici bipedi e quadrupedi di Santo Domingo e un bacio all’amica Luna il cui entusiasmo ha reso possibile tutto questo!

A presto.

Riccardo Maria Bruno

Chi muove i piedi ha perso!

La società del cavallo è una società sportiva o (se vi piace di più il temine) “meritocratica”, certo ben diversa dalla nostra dove normalmente il più violento, il più prevaricatore, il meno onesto, occupa le alte sfere del comando.

Per una preda il bene del gruppo è assai più importante del bene del singolo (altra lezione che dovremmo imparare!). In un branco di erbivori sarebbe impensabile che un membro violento o pericoloso possa prendere il comando; il mondo esterno è già sufficientemente pericoloso figurarsi se si può accettare un pericolo dall’interno del branco!! Ecco perché i cavalli affidano la leadership all’elemento più equilibrato che non necessariamente risulta essere il “più forte”.

Per stabilire le gerarchie quindi i cavalli giocano e tengono una speciale classifica per ognuno dei membri del branco, semplicemente chi fa più punti occupa un gradino più alto.

Il gioco preferito dai cavalli è chi muove i piedi ha perso, lo giocano continuamente anche con noi,  sia da terra che da sella… Quante volte vedo cavalieri incoscienti  perdere continuamente i giochi della dominanza e poi magari arrabbiarsi e diventare aggressivi di fronte ad un rifiuto del loro cavallo… non vi è nulla di meno equestre di un simile comportamento!

Nelle foto la mia compagna di gioco si chiama Recongin e si è dimostrata una partner  fine oltre che molto bella. La sua proprietaria Ramona ha già le idee molto chiare ma intelligentemente sa che con i cavalli non si smette mai di imparare!

Un ringraziamento particolare va a Michela ispirata gestrice del piccolo e molto curato centro MichyHorse di Altopascio (LU) dove i quadrupedi vengono prima dei bipedi, per la gentile ospitalità durante il miei stage.

Riccardo M. Bruno

 

Etica dell’allevamento equino e umano

Ogni società presuppone un compromesso, l’individuo sacrifica la sua libertà personale in cambio di benefici non ottenibili in una vita condotta in solitario. Ognuno di noi ha esperienza delle regole restrittive che il vivere comune ci impone per il fine ultimo della sopravvivenza e del benessere collettivo, ognuno di noi ha ben chiaro quanto sia delicato questo equilibrio di dare avere ed ogni individuo sente quanto una collettività etica e  dignitosa possa giovare al singolo nel suo percorso evolutivo che difficilmente sarebbe ottenibile vivendo un’esistenza decontestualizzata.

Quando un qualunque essere (umano o animale) entra in contatto con un essere più evoluto le possibilità sono due o ne trarrà giovamento o verrà sfruttato. E’ ciò che molto naturalmente succede fra il bimbo e la sua mamma, fra fratelli maggiori e minori, fra l’insegnate e l’allievo, fra i maestro e il discepolo, ma anche fra l’uomo e il suo cavallo.

Quando decidemmo di togliere i cavalli dal loro stato naturale per allevarli e sfruttarne la devastante forza e velocità in cambio di protezione cibo e cure, stipulammo con loro lo stesso patto etico che avrebbe dovuto contraddistinguere anche la nostra di società, quella umana. Privandoli di un bene così prezioso come la libertà e chiedendogli lavoro e fatica a nostro beneficio avremmo dovuto almeno pareggiare la bilancia con un tesoro di altrettanto valore.

É andata davvero così?

Come avrebbe mai potuto esserlo se per primi noi umani, esattamente come i nostri cavalli, siamo relegati in stretti box di cemento, con le grate alle finestre, divisi gli uni dagli altri, malnutriti, ridicolmente agghindati alla moda, con dei pezzi di ferro inchiodati ai piedi, costretti sempre al solito percorso box/lavoro, spendendo le nostre vite e le nostre forze in attività alienanti che poco hanno a che fare con il primigenio etico contratto dove un essere più semplice evolve e si migliora grazie ad una società giusta che in cambio di poco restituisce con gli interessi.
E così alleviamo i nostri cavalli come alleviamo i nostri figli, antropomorfizzando i primi e viziando i secondi, senza alcuna riflessione ci affidiamo pigramente a ciò che si dice, alle consuetudini consolidate, ai dettami della pratica comune, acriticamente, superficialmente.
Ecco perché le nostre scuderie sembrano dei lager, i nostri cavalli sono problematici e muoiono malaticci a vent’anni quando ne potrebbero vivere ben sani quaranta.

Box, mangimi e ferratura sono le piaghe dell’allevamento moderno del cavallo e tutto ciò è dimostrato scientificamente ormai da più di trent’anni.

Vi è un altro aspetto, forse ancor più significativo, che ogni uomo che decide di stare con questi nobili animali dovrebbe attentamente considerare.
Oggi si tende a pensare che naturale sia sinonimo di migliore. Questo è vero solo in minima parte.
Un cavallo che pascola sereno, in compagnia dei sui simili, nella sua postura riposata e naturale avrà il peso della sua imponente massa per lo più sugli anteriori; il lungo dorsale disteso, lo splenio proteso in avanti nell’atto del brucare, la forza motrice dei posteriori quasi assente: i cavalli al prato deambulano tirandosi con gli anteriori, non spingendosi con i posteriori.
Un cavallo montato in questa sua postura naturale sarà un cavallo sulle spalle, orizzontale, direzionale e generalmente pesante sulla mano. La sua schiena e la sua incollatura svilupperanno una muscolatura rigida atta a compensare il continuo squilibrio in avanti nonché il peso del cavaliere. Sarà un animale destinato prima o poi a patologie muscolo scheletriche in alcuni casi anche gravi.
Anche il giovane bipede della razza umana nella sua posa decontratta e naturale, magari camminando sulla spiaggia in compagnia dei suoi simili, ciondola squilibrato in avanti, le spalle curve, il bacino retroflesso a volte molto distante dalla grazia della posizione eretta.
Poi al prato e sul bagno asciuga qualcosa succede, passa una giovane femmina dalle forme sinuose e la criniera al vento, entrambi bipedi e quadrupedi si trasformano, il petto si gonfia, le spalle si aprono, il bacino si ingaggia, gli addominali si tirano, l’incollatura si rileva e si incurva, le orecchie si tendono e gli occhi scintillano, i gesti si fanno ora coerenti armonici competitivi, carichi di energia ed equilibrio, un equilibrio che è sempre naturale ma ora è più netto, più significativo, più appariscente, più performante.

E’ in questo tipo di postura che il maestro monta il suo cavallo, è questo equilibrio verticale lo scopo ultimo dell’addestramento ed è nel raggiungimento di questo stato in maniera volontaria, continuativa e cosciente e non aleatoria e contestuale da parte del cavallo che risiede la chiave etica dell’equitazione.

Il maestro evolve dallo stadio di natura allo stadio di sapienza il suo destriero, liberando e portando alla coscienza la sua parte più nobile, pareggiando i conti.
Una equitazione incosciente, superficiale, ignorante, anche in buona fede e peggio ancora se praticata in maniera spocchiosa ed arrogante, diventa IL problema morale urgente con il quale ogni cavaliere dovrebbe seriamente fare i conti.

Riccardo Maria Bruno

(Bleeding – Barbara Fedeli – acrilico su carta – 70×50)